La ricerca di un’identit\u00e0 professionale ai confini tra l’umanit\u00e0 e la tecnologia di frontiera<\/h4>\n\n\n\n

[ITA – EN BELOW]<\/p>\n\n\n\n

Ora che le organizzazioni stanno cercando di evolvere verso i nuovi paradigmi di governance distribuita e partecipativa<\/strong> che attivano ambienti di apprendimento continuo <\/strong>(Laloux le descrive nel suo libro “Reinventing Organizations”), quali sfide l’intelligenza artificiale mette davanti a noi, lavoratori della conoscenza e della creativit\u00e0<\/strong>, che abbiamo il compito di facilitare questa evoluzione? E da quale prospettiva dobbiamo osservare queste sfide?
Io, ad esempio, mi metto dal punto di vista sia della coach\/formatrice che facilita individui e organizzazioni a reinventarsi, che della coachee\/studentessa che vuole ridisegnare continuamente la propria professione con l\u2019entusiasmo da early adopter che mi contraddistingue da sempre.
La mia personale prospettiva parte quindi da una doppia visione<\/strong>, ma converge verso la stessa considerazione. <\/p>\n\n\n\n

Prima di sistematizzare le mie riflessioni, vorrei condividere un disclaimer importante: questo post \u00e8 il frutto di un onesto scambio \u201cintellettuale\u201d tra me e Chat GPT, dove lei ha messo sul tavolo la sua capacit\u00e0 di fare sintesi, confrontare e restituire output <\/strong>in forma di sintassi <\/strong>e io, oltre all\u2019elaborazione semantico\/cognitiva<\/strong>, ho messo sensibilit\u00e0 <\/strong>e capacit\u00e0 intellettiva<\/strong> nell’input, intuizione e quel tocco di creativit\u00e0 e flessibilit\u00e0 mentale<\/strong> che mi hanno aiutato a discernere tra i vari tentativi di omologazione degli output<\/strong>. <\/p>\n\n\n\n

Gi\u00e0 in questo disclaimer si inizia a evincere il core <\/em>del mio ragionamento.<\/p>\n\n\n\n

L\u2019AI che potremmo utilizzare noi lavoratori della conoscenza \u00e8 in grado di elaborare grandi quantit\u00e0 di dati in poco tempo per fornire risposte rapide e precise, ma non ha una comprensione profonda e personale della realt\u00e0 e interagisce secondo una logica input-output.<\/p>\n\n\n\n

La prima sfida perci\u00f2 sta nel valore nell\u2019input,<\/strong> che appartiene all\u2019essere umano, unico in grado di pensare in modo astratto, di creare nuove idee e concetti, di imparare dalla profondit\u00e0 e complessit\u00e0 dalle esperienze e di adattarsi alle situazioni in modo flessibile, gestendo<\/strong> emozioni e sentimenti<\/strong>. Quindi, pi\u00f9 potente \u00e8 l\u2019input pi\u00f9 efficace \u00e8 l\u2019output<\/strong> che, se ben contestualizzato, \u00e8 in grado di generare ulteriori input di valore a costruire un circolo virtuoso crescente<\/strong>. <\/p>\n\n\n\n

Viene da s\u00e9 che vale anche il contrario. Pi\u00f9 l\u2019input \u00e8 scialbo e superficiale, minore sar\u00e0 l’efficacia e la pertinenza dell\u2019output.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

Tuttavia questa \u00e8 una lettura un po\u2019 superficiale e limitata. In realt\u00e0, durante una conversazione o interazione, sia la persona che l’AI sono coinvolti nel processo di input-output, dove l’intelligenza artificiale pu\u00f2 anche fornire informazioni o suggerimenti, oltre a rispondere a domande o richieste.<\/p>\n\n\n\n

Ma anche qui interviene una nuova sfida: la capacit\u00e0 specifica della persona di discernere, astrarre, creare e gestire relazioni personali, individuare connessioni semantiche, sperimentare l\u2019emotivit\u00e0 e prendere decisioni.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

Il grosso vantaggio che intravedo nella relazione tra noi knowledge worker e l’intelligenza artificiale \u00e8 una dichiarata, trasparente e consapevole collaborazione<\/strong>, dove la consapevolezza \u00e8 per\u00f2 specifica dell\u2019attivit\u00e0 umana. <\/strong> <\/p>\n\n\n\n

Mentre l\u2019intelligenza artificiale ci offre l‘automatizzazione delle attivit\u00e0 ripetitive e di routine, la velocizzazione dei processi e la semplificazione dell\u2019impegno legato ad alcune attivit\u00e0 di progettazione<\/strong>, noi knowledge worker possiamo affrontare una nuova sfida: dedicare maggior tempo a quelle attivit\u00e0 \u201cpi\u00f9 umane\u201d<\/strong> che apportano ulteriore valore aggiunto alla nostra professione. Possiamo riscoprire cos\u00ec il piacere della ragione, della conoscenza critica e della cultura, dell’abilit\u00e0 di pensare in modo creativo, di risolvere problemi complessi e di interagire con gli altri in modo empatico.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

Quindi l\u2019AI ci aiuta a svolgere il nostro lavoro in modo pi\u00f9 efficiente, ma soprattutto ci libera per consentirci di esplorare il nostro potenziale umano e di metterlo al servizio della societ\u00e0.<\/strong>
Tuttavia se da un lato l’AI ha il potenziale di restituirci spazio e tempo per pensare liberamente<\/strong>, in questo spazio di libero pensiero dobbiamo necessariamente includere l\u2019alert di una sfida ardua, la forte probabilit\u00e0 che si creino nuove disuguaglianze con impatti importanti sulla formazione, l\u2019occupazione e il reddito oltre a disfunzioni sociali<\/strong> nell\u2019accesso ai servizi primari, primo tra tutti la salute pubblica. Su questo tema si dovrebbe, per\u00f2, aprire una riflessione a parte. <\/p>\n\n\n\n

Rimanendo nel nostro campo, come coach e facilitatori di apprendimento, abbiamo la responsabilit\u00e0 di comprendere la portata dell\u2019evoluzione tecnologica, smettere di fare battaglie luddiste, concentrarci su come migliorare l’esperienza di apprendimento e sviluppare abilit\u00e0 specifiche per noi e per i nostri utenti.<\/strong>
<\/strong>L\u2019esperienza umana \u00e8 e rimarr\u00e0 <\/strong>(molto probabilmente) il fulcro della relazione professionale<\/strong> perch\u00e9 preserva la capacit\u00e0 di pensare in modo critico e creativo, libera emozioni, attiva motivazione e crea fiducia nel supporto al cambiamento. <\/p>\n\n\n\n

Le mie braccia, quindi, sono aperte pi\u00f9 che mai ad accogliere questa evoluzione di identit\u00e0 professionale per reinventarci tutti con impegno e seriet\u00e0 in un crescente circolo etico e virtuoso.<\/p>\n\n\n\n

In search of a professional identity at the boundaries between humanity and frontier technology<\/h4>\n\n\n\n

[EN]<\/p>\n\n\n\n

Now that organizations are seeking to evolve towards new paradigms of distributed and participatory governance<\/strong> that activate continuous learning environments<\/strong> (as described by Laloux in his book “Reinventing Organizations”), what challenges does artificial intelligence present to us as knowledge and creativity workers who have the task of facilitating this evolution? <\/strong>And from what perspective should we view these challenges?<\/p>\n\n\n\n

For example, I take the perspective of both a coach\/trainer who facilitates individuals and organizations to reinvent themselves, and a coachee\/student who wants to continually redesign their profession with the enthusiasm of an early adopter that has always characterized me.<\/p>\n\n\n\n

My personal perspective therefore starts from a dual vision<\/strong>, but converges towards the same consideration.<\/p>\n\n\n\n

Before I systematize my reflections, I would like to share an important disclaimer: this post is the result of an honest “intellectual” exchange between me and Chat GPT, where she has brought to the table her ability to synthesize, compare and return outputs in the form of syntax<\/strong>, and I, in addition to the semantic\/cognitive processing,<\/strong> have contributed sensitivity and intellectual capacity in the input, intuition and that touch of creativity and mental flexibility<\/strong> that have helped me to discern among the various attempts at homogenizing the outputs<\/strong>.
Already in this disclaimer, the core of my reasoning begins to emerge.<\/p>\n\n\n\n

The AI that we knowledge workers could use is capable of processing large amounts of data quickly to provide quick and precise answers, but it does not have a deep and personal understanding of reality and interacts according to an input-output logic.<\/p>\n\n\n\n

The first challenge, therefore, lies in the value of the input,<\/strong> which belongs to the human being, the only one capable of abstract thinking, creating new ideas and concepts, learning from the depth and complexity of experiences, and adapting to situations in a flexible manner, managing emotions and feelings<\/strong>. Therefore, the more powerful the input, the more effective the output<\/strong>, which, if well contextualized, is able to generate further valuable inputs to build a growing virtuous circle<\/strong>. It goes without saying that the opposite is also true. The more bland and superficial the input, the less effective and relevant the output will be<\/strong>.<\/p>\n\n\n\n

However, this is a somewhat superficial and limited interpretation. In fact, during a conversation or interaction, both the person and the AI are involved in the input-output process, where artificial intelligence can also provide information or suggestions, in addition to responding to questions or requests.<\/p>\n\n\n\n

But here too a new challenge arises<\/strong>: the specific ability of the person to discern, abstract, create and manage personal relationships, identify semantic connections, experience emotions and make decisions.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

The great advantage that I see in the relationship between us knowledge workers and artificial intelligence is a declared, transparent and aware collaboration<\/strong>, where awareness is specific to human activity<\/strong>. While artificial intelligence offers us automation of repetitive and routine activities, faster processes, and simplification of the effort involved in certain design activities,<\/strong> we knowledge workers can face a new challenge: devoting more time to those “more human” activities <\/strong>that bring additional added value to our profession. We can rediscover the pleasure of reasoning, critical knowledge and culture, the ability to think creatively, solve complex problems and interact with others empathetically.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

So AI helps us do our job more efficiently, but above all it frees us to explore our human potential and put it at the service of society.<\/strong> However, while AI has the potential to give us space and time to think freely<\/strong>, in this space of free thought we must necessarily include the alert of a difficult challenge, the strong probability that new inequalities will be created with important impacts on education, employment and income<\/strong> as well as social dysfunctions in access to primary services, first and foremost public health. On this issue, however, a separate reflection should be opened.<\/p>\n\n\n\n

Staying in our field, as coaches and learning facilitators, we have the responsibility to understand the scope of technological evolution, stop fighting Luddite battles, focus on improving the learning experience, and develop specific skills for ourselves and our users. The human experience is and will remain (most likely) the focus of the professional relationship because it preserves the ability to think critically and creatively, frees emotions, activates motivation, and creates trust in supporting change.<\/strong><\/p>\n\n\n\n

Therefore, my arms are more open than ever to welcoming this evolution of professional identity to reinvent ourselves with commitment and seriousness in a growing ethical and virtuous circle.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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