Gli audiolibri e l’arte di imparare a sbagliare
“Mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice”
Cesare Annunziata, da La tentazione di essere felici
di Lorenzo Marone
Adoro ascoltare romanzi su Audible!
Ogni minuto della giornata è dedicato a una specifica attività. Le occasioni per fermarmi a leggere sono sempre più rare: non più traversate in metro, né viaggi in treno.
Ci sono però alcune attività che non richiedono particolari elaborazioni cognitive e che ho sempre inutilmente riempito di sovra pensieri.
Sono gli spazi in cui adesso vivono agli audiolibri, regni di libertà dove l’astinenza da storie si annulla nell’ascolto, il corpo si muove e la mente si aliena. È quando mi trasporto da una parte all’altra della casa o del quartiere, sposto oggetti e rimetto ordine nelle cose, che mi lascio incantare dalle voci dei narratori. In quei momenti combino i neuroni a piacimento, le emozioni scorrono come un fiume in piena e si incarnano in personaggi immaginari che portano dentro di sé quel che di reale c’è in me.
Se tempo fa rifiutavo l’idea dell’ascolto, marchiandola come un “vano ripiego”, oggi ho imparato che mi sbagliavo: ascoltare gli audiolibri è un’esperienza che nulla toglie alla lettura tradizionale. Al contrario le si affianca con la sua carica vivida e impetuosa, le mostra rispetto e prosegue sulla sua strada per ricongiungersi, con deferenza, alla tradizione orale dei cantastorie.
Ho imparato che mi sbagliavo.
Ci sono due romanzi che mi hanno insegnato ad apprezzare la profondità della consapevolezza dell’errore, “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Marone e “L’ultima settimana di settembre” di Lorenzo Licalzi.
Il protagonista del primo libro è un vecchio cinico e burbero, il protagonista del secondo libro è un vecchio cinico e burbero.
Cesare Annunziata, ha 77 anni, e si presenta così: “per settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare a godermela sul serio.”
Pietro Rinaldi di anni ne ha 80 e nel giorno del suo compleanno, scrive la lettera che annuncia il suo suicidio, “non la classica lettera d’addio melodrammatica infarcita di mi dispiace, richieste di perdono, di piagnistei e autocommiserazione, ma piuttosto un gioco, un regalo che facevo a me stesso”.
Ciò che accomuna queste due storie che partono agli antipodi (il desiderio di vita e il desiderio di morte), è che entrambi i protagonisti hanno preso decisioni estreme e commesso errori di valutazione, avendo vissuto una vita intera inchiodata da percezioni ideologiche e pregiudizievoli e associazioni di pensiero semplicistiche.
L’incidente narrativo scatenante attiva in loro un lento e inconsapevole processo di riflessione profonda che li devia dal solco in cui hanno sempre camminato e li conduce verso una simile e semplice cognizione: quello che si è oggi è il risultato di ciò che si è voluto essere, ma non è mai troppo tardi per concedersi di essere ciò che si vuole davvero.
In altre parole, è sempre il momento di riconoscere gli errori, accettarli, farli accettare e trasformarli in nuove strade da perlustrare.
La libertà di sbagliare
Abbiamo limiti oggettivi e concediamo alla paura la possibilità di rivelarci solo sfiducia, dissonanza, separazione e inerzia. La libertà di sbagliare è un privilegio che stentiamo a riconoscerci. E lasciamo che le nostre azioni seguano solchi dettati da bias cognitivi ed euristiche di pensiero, scorciatoie rassicuranti che rendono le nostre esperienze rigide e inflessibili.
Forse non è questo il messaggio lasciato dagli autori, ma è ciò che più mi rimane da queste vicende narrative così tanto lontane dalla mia personale.
Cesare vuole salvare Emma, Pietro vuole dare una famiglia a Diego. Entrambi si assumono la responsabilità di uno scopo, entrambi lo sperimentano liberamente e trasformano questa occasione in una grande opportunità per deviare dai condizionamenti pregressi e iniziare una vitale trasformazione degli ultimi anni delle loro vite.
Io di anni ne ho ancora tanti davanti e sono sempre più convinta che percorrere le strade dell’apprendimento significhi stimolare nelle persone la ricerca di uno scopo e garantire la sicurezza psicologica di prendersi responsabilità, esprimere liberamente pareri, avanzare idee e sollevare criticità senza timore.
Il desiderio continuo di apprendere è il mio scopo, i timori sono ancora tanti, ma è forte il desiderio di sperimentare il significato profondo della parola errore, la cui radice affonda nel piacere di errare, vagare, sviare e deviare dall’ordinario per avventurarsi nei propri spazi personali di autoriflessione.